10 settembre, 2013

The Manchurian candidate

Non bisogna leggere “The Manchurian candidate”, pellicola per la regia di Jonathan Demme, solo come un rifacimento dell’omonima produzione risalente al 1962: la cosiddetta Guerra fredda è archiviata, con la sua in gran parte fittizia contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”.

Johnatan Demme e gli altri autori descrivono in modo realistico il candidato alla vice-presidenza degli Stati Uniti d’America. E’ l’ex sergente Raymond Shaw, “eroe” di guerra. Grazie alla madre (Meryl Streep), donna spregiudicata ed ambiziosa, ma soprattutto in quanto sostenuto da un influente think tank internazionale, Shaw è eletto. Un “provvidenziale” attentato al neo-presidente gli potrebbe spianare la strada verso la Casa Bianca...

Come non vedere nel candidato, il classico W.A.S.P., una figura, un’anticipazione di Baldrak Obama? Shaw è una marionetta manovrata dalla “Manchurian global”, una società leader nel settore dei microprocessori ad uso militare. La mente di Show è controllata attraverso micro-impianti cerebrali, come quella dei soldati che in un finto Iraq massacrano i loro commilitoni, in vece che inesistenti “jihadisti” .

Il lungometraggio, pregevole soprattutto per l’incalzante montaggio e la caratterizzazione dei personaggi, non è tanto un thriller quanto una denuncia del controllo mentale, di una “politica” spettacolarizzata i cui attori sono succubi di potenti e sinistri figuri avvezzi ad agire dietro le quinte. Shaw è quasi del tutto inconsapevole di essere soggiogato: non sa che i suoi ricordi ed il suo passato non gli appartengono, poiché essi sono un coacervo di false memorie.

Non intercorre alcuna differenza tra “Democratici” e “Repubblicani”: tutti obbediscono alle élites globali. I conflitti sono in gran parte imposture televisive: le emittenti costruiscono servizi per orientare l’opinione pubblica e convincerla ad appoggiare le decisioni dei guerrafondai. I veterani si ammalano e muoiono a causa del proprio governo che li manda a combattere nemici sovente virtuali. I focolai non saranno mai spenti, poiché la guerra è sinonimo di denaro e di destabilizzazione. Le stragi sono un crudele video-gioco. I sudditi, narcotizzati dalla propaganda, votano ed acclamano i loro carnefici. Le parole d’ordine sono “sicurezza”, “lotta al terrorismo”, ma il fine reale è creare una perenne situazione di insicurezza, mentre i veri terroristi sono ai vertici delle nazioni “civili”.

Allora è giusto condannare Baldrak Obama e la sua cricca, l’imperialismo di U.S.A.tana, ma è necessario pure comprendere che Barry Soetoro è uno scolaretto abituato a svolgere con zelo i suoi compiti. Il presidente degli Stati Uniti è l’uomo più potente del mondo? No, è un miserabile, uno sciagurato, incapace di ribellarsi ai suoi padroni, tagliagole travestiti da patrioti e da paladini della “democrazia”.

Dunque la chiave interpretativa di “The Manchurian candidate” è squisitamente figurale. Erich Auerbach, in “Mimesis” così illustra tale tipo di esegesi: “L'interpretazione figurale stabilisce tra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto sé stesso, ma significa anche l'altro, mentre l'altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si trovano entrambi nel tempo, come fatti reali”.

Shaw prelude ad Obama. L’intrigante genitrice ha gli atteggiamenti e l’indole della strega nota come Hillary Clinton. La produzione è profetica: sono facili profezie per chi conosce almeno un po’ lo scenario internazionale ed i suoi intrighi che travalicano i meri interessi economici.

Quanto sta oggi accadendo in Medio - oriente e nel mondo sembra l’adempimento delle vicende narrate del film. Cambiano alcuni particolari, ma il quadro complessivo è il medesimo.

A volte la finzione narrativa non è in grado di fingere.

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