20 marzo, 2009

The road to Guantanamo

The road to Guantanamo è un film documentario per la regia di Michael Winterbotton (2006).

Nell'autunno del 2001 quattro giovani di Tipton, Regno Unito, ossia Ruhel, Asif, Shafiq e Monir partono alla volta del Pakistan in occasione del matrimonio di Asif con una ragazza del Punjab. Mentre sono in Pakistan visitano una moschea in cui l'imam invita i fedeli ad aiutare la gente dell'Afghanistan. Forse spinti da spirito di avventura, i quattro passano il confine per conoscere la realtà di un paese ormai attaccato degli Stati Uniti. Poco dopo i quattro sono catturati dall'Alleanza del Nord. Da quel momento non si ha più notizia di Monir. Gli altri tre ragazzi, dopo dieci giorni, sono trasferiti segretamente a Guantanamo con l'accusa di essere esponenti di Al Qaeda. I tre restano in prigionia a Cuba per oltre due anni, finché, pur non essendo scagionati, sono liberati e possono tornare nel Regno Unito.

The road to Guantanamo narra le peripezie dei "Tre re di Tipton" (come vengono chiamati nel momento in cui stanno per essere liberati), sulla base di crudi resoconti. Nella realizzazione vengono usati filmati delle testimonianze dei tre, spezzoni televisivi di dichiarazioni dell'epoca dovute a George W. Bush ed a Donald H. Rumsfeld e ricostruzioni di quanto riportato da Asif, Ruhel e Shafiq.

La produzione del regista britannico è una catabasi, una descensio ad inferos, ma Winterbotton evita di esibire l'orrore, di indulgere in particolari truculenti per lasciar esplodere la crudezza della realtà: così i bombardamenti che dilaniano gli afghani, i maltrattamenti fisici e psicologici inflitti ai quattro giovani, colpevoli solo di infinita ingenuità, gli interrogatori estenuanti ed ossessivi si susseguono in una catena fatalmente tragica, quasi più narrativa che esistenziale. Infatti, alla ricostruzione tramite attori degli eventi, sono intercalate le testimonianze dei tre ex prigionieri di Guantanamo. Essi, attraverso il ricordo, quasi allontanano da sé l'atroce esperienza per collocarla nel "mito" contemporaneo per eccellenza, quello della guerra, non solo barbara, ma tanto più assurda in quanto combattuta contro un nemico inesistente. Il film, infatti, per chi conosce i retroscena del 9 11, sfiora il grottesco, pur senza perdere nulla della sua terribilità, quando i carnefici vogliono che i giovani confessino di appartenere ad Al Qaida, dicitura che significa la Base ed il cui server è in Texas (U.S.A.) E' un po' come se ad un greco del V secolo a.C. si chiedesse di riflettere sulla dottrina cristiana: è un adynaton.

I vari recensori, a ragione, si sono soffermati sulla denuncia implicita nel film, sulla condanna delle torture cui sono state sottoposte persone innocenti, sull'ipocrisia dei fantocci Rumsfeld e Bush. Il primo dichiara con improntitudine: "La convenzione di Ginevra è per lo più rispettata". In quel "per lo più" si annida la mefistofelica astuzia di uno che stupra la lingua (Chissà perché gli stupri della lingua non suscitano alcuna indignazione a differenza delle violenze carnali). George W. Bush dichiara: "Quello che sappiamo è che queste persone sono cattive". Somma perversione della verità, perfetto rovesciamento espresso con i toni paternalistici del preside di un istituto religioso.

Quello che più sconvolge, però, è l'assoluta, rocciosa spietatezza dei carcerieri, frutto di un indottrinamento capillare, diuturno, raffinatissimo, più forse che di innata malvagità. Tantum malorum potuit suadere religio, la religio dello stato, di un malinteso e pervertito patriottismo. Sorprende dunque che alberghi ancora un barlume di umanità in una guardia di Guantanamo: egli, avendo scorto una tarantola che rischia di mordere uno dei carcerati, schiaccia l'aracnide, salvando la vita al giovane pakistano. Sorprende anche che un documentario come questo non porti ad un rifiuto netto, reciso, irrevocabile della guerra, anche quando è presentata come "missione di pace".

Questa propaganda è ormai penetrata pure nelle scuole italiane, dove eroici piloti tentano di persuadere gli studenti ad intraprendere la gloriosa carriera militare, avvalendosi di video promozionali per la regia di Edmondo De Amicis: primi piani densi di pathos, schematica contrapposizione tra buoni e cattivi, celebrazioni dei "valori" nazionali, lacrimevoli ricongiungimenti con i genitori dopo perigliose ma illustri imprese per salvare bimbi inermi dalle grinfie dei Taliban. Il tutto poi con panoramiche per inquadrare caccia rigorosamente senza scia, veri gioielli della nostra aviazione, che planano maestosi nel cielo, simili a regali aquile.

Non sanno i futuri soldati delle future missioni umanitarie, ammaliati da cotanta maraviglia, che li attende una tragica fine, (una tragedia, ma senza catarsi), tra uranio impoverito, nanoparticelle, bombe e letti d'ospedale destinati a divenire cataletti.



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