03 marzo, 2009

Aleph

"Aleph" è un noto racconto filosofico di Jorge Luis Borges. Il protagonista, in cui si cela e manifesta lo stesso autore argentino, è ospite di Carlos, una misteriosa figura che inizia Borges alla visione dell'Aleph. L'anfitrione lo invita, infatti, a scendere nella cantina dove, se seguirà alcune istruzioni, potrà assistere al prodigio. Solo, nel cupo silenzio della cantina, il protagonista subito teme che Carlos l'abbia ingannato per rinchiuderlo in una tomba, dopo avergli offerto una pozione venefica. Poi, però, si dispiega dinanzi ai suoi occhi l'epifania, l'Aleph, ossia il Tutto, l'Infinito: in un turbinio di immagini, in un caleidoscopio di scenari e di tempi, l'uomo percepisce l'inconcepibile universo.

Svanita la visione, Borges si congeda da Carlos, rifiutandosi con energia di discutere dell'Aleph. Sconvolto dalla sovrumana esperienza, dopo qualche notte d'insonnia, egli riesce a dimenticare.

Questa è la lineare sequenza degli eventi della novella che incarna la poetica di Borges tra misticismo e labirintiche elucubrazioni. La prospettiva interna si incunea nella dolente rievocazione di Beatriz, la donna amata dalll'attante principale, di cui egli scopre, durante l'immersione nell'oceano della Coscienza universale, il tradimento.

L'Aleph, incommensurabile e magnifico in modo spaventoso, è il Cosmo in cui tutto coesiste: in modo incomprensibile la più tenera gioia vi si compenetra con il più granitico patimento, sicché il narratore prova, non appena la visione dilegua "una venerazione infinita ed una pena infinita".

L'Aleph, tessuto istoriato di simboli alchemici e cabalistici, intrecciato di fili inestricabili, è soprattutto una catabasi nell'inferno della Conoscenza, la vertigine di fronte all'abisso, l'estasi dello sgomento: reduce da questo viaggio ai confini dell'indicibile (quanto è misero il linguaggio di fronte al mistero dell'Essere!) si accende il desiderio della dimenticanza.

Lo scrittore affida ad una tripartizione strutturale la prospettiva tematica: l'attesa tramata di inquietudine nel salotto di Carlos, lo Spannung della visione (“In quell'istante gigantesco io ho visto milioni di azioni piacevoli o atroci: nessuna mi sbalordì quanto il fatto che esse occupavano tutte lo stesso punto, senza sovrapposizione e senza trasparenza”); il ritorno all'irreale realtà. Sin dall'incipit gli aggettivi stranianti, incongrui introducono in un'atmosfera sospesa, come se il nostro mondo fosse l'avanguardia inquietante di un esercito di ombre.

Con esemplare coraggio, l'autore si addentra nel dedalo della realtà: indifferente e partecipe, egli vede (sintomatica l'anafora di "vidi") le innumerevoli sfaccettature dell'universo, ma i suoi occhi si riempiono a tal punto di immagini da divenire ciechi.

Da Omero a Borges, la cecità è il pegno della Conoscenza, la misura della rivelazione che vela. Se vedere è etimologicamente sapere (si pensi al greco "oida", alla radice indoeuropea "vid"), se sapere è distruggere il senso del mistero e sfiorare il senso senza direzione, allora, almeno in parte, è una grande fortuna se viviamo nell’ignoranza e nell’oblio.



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